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Avati, L'Orto Americano horror gotico della maturità
Il regista chiude l'edizione 2024 della Mostra di Venezia
"Questo film racconta una storia di estrema solitudine, quella del protagonista Filippo in cui mi identifico totalmente. Sono un disturbato proprio come lui, anche io la sera prima di dormire parlo con i morti. Ne faccio l'appello e la mia stanza si riempie di identità, come quelle di mio padre e di mia madre che mi vogliono bene, mi rasserenano e mi fanno dormire. Questo è comunque un film della maturità, quando senti sempre più il bisogno di lasciare tracce". Così Pupi Avati, 85 anni, racconta il suo L'Orto Americano, horror gotico in bianco e nero spruzzato da elementi soprannaturali (ma anche appunto autobiografici) e film di chiusura della 81/a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Un modo, per il regista - che ha il record di partecipazioni al Lido (ben dieci nella selezione ufficiale) - di tornare alle origini, a 'La casa dalle finestre che ridono', horror del 1976 che vinse il premio della Critica al Festival du Film Fantastique di Parigi, divenendo poi un film di culto. Siamo nell'immediato dopoguerra a Bologna, ai tempi della Liberazione: per un giovane aspirante scrittore (Filippo Scotti), cinque romanzi non ancora pubblicati, è colpo di fulmine per Barbara, una bellissima nurse dell'esercito americano. L'anno dopo lo scrittore va nel Midwest americano cercando di raggiungerla e va ad abitare in una casa contigua a quella della sua amata, separata solo da un orto. Lì vive l'anziana madre (Rita Tushingam), disperata per la scomparsa della figlia che non ha dato più notizie di sé dalla conclusione del conflitto. Inizia così da parte di Filippo una grande avventura, quando scopre nell'orto americano, in una teca, dei resti umani femminili che potrebbero far riferimento a un pericoloso serial killer. Da qui una ricerca che gli farà vivere una situazione terrificante fino a una conclusione in Italia del tutto inattesa.
O.Salvador--PC