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Un "Tristano e Isotta" da applausi al Massimo di Palermo
Sei chiamate alla ribalta per l'addio di Wellber al teatro
Sei chiamate alla ribalta per il debutto di "Tristan und Isolde" di Wagner al Teatro Massimo di Palermo, applausi assordanti per il cast e la direzione d'orchestra e qualche sparuto mugugno per la regia, una costante per una produzione così imponente. Fin dalle prime note del Preludio, Wellber mette a fuoco quegli accordi prolungati, lunghi, l'essenza stessa del Tristano che è l'attesa, il desiderio, come un'onda del mare che ti lambisce e poi torna a bagnarti. Qui non si tratta dell'amore totale, ma del desiderio irrefrenabile che non trova compimento e si alterna con l'infelicità, e di nuovo l'attesa che esalta ora la malinconia, ora la passione. Tutto questo si ritrova nell'orchestrazione e nel lavoro immane che il direttore ha compiuto con l'orchestra. In un teatro gremito in ogni ordine, l'opera è andata in scena in circostanze di grande commozione: La grandissima Nina Stemme, che nel finale sveste il costume di Isolde, per l'ultima volta, e poi il direttore musicale che sta per concludere il suo mandato e sembra salutare il suo pubblico con un altro Wagner e lo striscione portato in sala che invoca la pace in tutti i territori sfregiati dalla guerra. Nella scena nuda, il teatro è svelato in ogni sua parte, Wellber esalta l'estenuante alternarsi di tensione indicibile al " dolcissimo soffrir", avrebbe detto Puccini, togliendo ogni retorica enfatica al capolavoro tedesco. E Tristano non è un'opera wagneriana come le altre, non ci sono miti ed eroi e tutta la mitologia del Nibelungo. Qui il maestro esalta i momenti lirici, le dolcezze sussurrate nel canto e in orchestra un suono luminoso e potente quando occorre, per costruire una Cattedrale del desiderio e guardando la profondità della nuda scena con americane, corde, tecnici a vista, lo spazio diventa una Cattedrale del suono. L'impianto scenico è un omaggio a Graham Vick che firmò quasi 5 anni fa la regia del "Parsifal" che diede inizio all'avventura palermitana di Omer Meir Wellber e come allora l'orchestra e il suo direttore sono saliti in palcoscenico per i ringraziamenti. Il primo atto riproduce le prove di uno spettacolo, il direttore dirige con una maglietta bianca, i protagonisti cantano al leggio, mentre un cupido nudo si aggira con le sue ali immense. Nel secondo atto la regia di Daniele Menghini porta tutto nel mondo di Shakespeare e Tristan e Isolde diventano il doppio di Giulietta e Romeo, circondati da Amleto, Bottom con la sua testa d'asino e i costumi di Nika Campisi diventano seicenteschi. Scenicamente è forse l'atto più bello, grazie alla scena di Davide Signorini e alle luci dorate e morbide di Gianni Bertoli. L'apporto molto discreto del corpo di ballo si è disperso nelle nebbie della Cornovaglia. Dopo il sublime duetto d'amore, il teatro si illumina, si torna alla realtà, è arrivato Re Marke e con lui la realtà. Tutto lo spettacolo è un alternarsi tra il sogno di un amplesso e la raggelante realtà che richiama tutti alla legge della necessità. Ma i grandi protagonisti restano Nina Stemme, Omer Meir Wellber, René Pape, Violeta Urmana, un cast non ripetibile, grandioso, insieme al Tristano di Michael Weinius e al Kurwenal di Andrej Bondarenko. Il coro dei marinai ha cantato dal loggione. Uno spettacolo che ha richiamato alla mente questi cinque anni della direzione musicale di Wellber a cui dobbiamo Goodbye and good luck.
Ferreira--PC