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Torna la paura della guerra, un incubo per 63% degli adolescenti
Cresce la tristezza, si fidano solo di genitori e amici
Gli adolescenti tornano a temere la guerra che per il 63% di loro è un pensiero o un incubo ricorrente. È uno dei dati che emerge dall'Indagine nazionale sugli stili di vita degli adolescenti che vivono in Italia, realizzata dal Laboratorio Adolescenza e dall'Istituto di ricerca Iard e presentata oggi. "È probabilmente la prima volta, dal dopoguerra a oggi, che una generazione di adolescenti teme realmente la possibilità di una guerra che ci coinvolga direttamente come Italia e come Europa", afferma Maurizio Tucci, presidente di Laboratorio Adolescenza. "Impossibile che questa sorta di spada di Damocle che pensano di avere sulla testa non condizioni anche tutto il resto". L'indagine, condotta su 3.427 studenti tra i 13 e i 19 anni, mostra che il 68,7% del campione, spesso o qualche volta si sente triste senza riuscire ad attribuire questa tristezza ad una causa specifica. Per il 39% questi momenti di tristezza immotivati sono aumentati rispetto al recente passato. Sensazione che ha ripercussioni su aspetti rilevanti della vita. Per esempio, il sonno. Il 60% delle ragazze e il 45% dei ragazzi fa fatica ad addormentarsi. Il senso di tristezza è tra le cause principali. Si va deteriorando, inoltre, il rapporto tra adolescenti e società. Salvo che per i medici di cui l'84% dei ragazzi si fida, è in picchiata la fiducia verso le figure di riferimento. È poco sopra il 50% la fiducia nelle forze dell'ordine, al 48% quella negli insegnanti, al 25% quella nei giornalisti, al 10% quella negli influencer, al 2,9% quella per i politici. Gli unici a reggere sono i genitori (si fida di loro il 90%) e gli amici (86%). "Fidarsi, e quindi sentirsi al sicuro, solo nel mondo circoscritto a familiari e amici è un segno di disagio ad affrontare il mondo esterno", afferma Maurizio Tucci. "Ma ritirarsi nel guscio a sedici anni, quando il desiderio dovrebbe essere quello di esplorare e possibilmente conquistare il mondo, è una preoccupante contraddizione in termini sulla quale dovremmo riflettere", conclude.
F.Ferraz--PC